Ritratto di Dante Alighieri

Agnolo Bronzino, 1532 - 1533 circa.
Galleria degli Uffizi, Firenze.

Giotto dipinge il Ritratto di Dante

Dante Gabriel Rossetti, 1852.
Collezione privata, Andrew Lloyd Webber Collection.


Il Viaggio esoterico di Dante  Alla ricerca di un ”Altro da sé”.

La Divina Commedia può essere interpretata in più chiavi di lettura. Una di queste è rappresentata dal contenuto metaforico/descrittivo che disvelerebbe, nascosto nel testo, un messaggio segreto da decifrarsi dentro ad un percorso esoterico circoscritto a tutto il Poema.

Dante esprime più volte sia nell’altra sua opera il Convivio, che nella Commedia l’esistenza di livelli diversi per la ‘spiegazione’ deduttiva dei suoi scritti e che: ‘quando si tratta di lui’ è meglio sforzarsi di leggere tra le righe: ‘quanto cos’altro voglia veramente dire’. La sua Opera è polisema; in essa coesistono un significato apparente, un velo e un significato nascosto, dottrinale che può essere letto solo da chi è capace di penetrarlo. Uno dei livelli occultati è quello esoterico. Le caratteristiche testuali rendono la Divina Commedia un veicolo aperto alla ermeneutica simbolista e Dante stesso avverte che il discorso del suo testo nell’insieme, può essere interpretato secondo 4 significati: il senso letterale del racconto poetico, il significato filosofico teologico, quello politico sociale. Resta quindi il quarto significato. René Guénon (1886-1951), uno dei maestri della tradizione esoterica novecentesca e autore del testo L’esoterismo di Dante, rileva il quarto significato dentro alla fraseologia metafisica propriamente iniziatico, che ne rivela il carattere esoterico e precisa altresì, che il linguaggio segreto di un testo iniziatico può essere capito solo, nella sua vera essenza, da coloro che sono già stati iniziati ai misteri dell’Ordine: «il senso profondo di un testo iniziatico è solo per pochi eletti e la Divina Commedia, essendo un testo iniziatico scritto da un Kadosh, non può che essere stata scritta per i pochi adepti, gli eredi dell’Ordine del Tempio e dei Rosa Croce, e di rimando i Massoni […]».

Disorientato per la impasse psicologica della sua umana natura che sente non più rappresentativa della Coscienza (Divina) trasfusa nell’essere umano creato dall’Infinito Amore, sentendosi così ‘gettato nel mondo’ – parafrasando Heidegger – coinvolto nella storia, ma svigorito dal susseguirsi degli eventi che lo privano della libertà e della ‘felicità’ spirituale Dante, da intellettuale del suo secolo già sapiente delle Arti liberali, del Trivio e del Quadrivio e conoscitore delle scienze filosofiche, del pitagorismo e alchemiche, cerca altra consapevolezza di sé nella ricerca della trascendenza del suo umano essere. Si accinge allora a iniziare il suo personale V.·.I.·.T.·.R.·.I.·.O.·.L.·. Visita - la sua interiorità magmatica e terrena - la include all’interno di un percorso di rettifica che configura nel procedersi di un metaforico viaggio a partire dalle viscere della terra, entrando così nell’Orrido, tra sofferenze e prove che corrodono la sua grezza materialità e man mano dissolvono i suoi vizi e, per gradi successivi, persegue altro cammino che da impervio e denso di ostacoli lo spinge verso condizioni metafisiche e spirituali sempre più prossime ad una albedo coscienziale. È il suo un procedere per gradi sempre maggiormente rischiarato di Luce e volto a successive elevazioni verso l’acquisizione dell’Armonia cosmica, fino alla finale consapevole visione di quell’Amore che è principio e anima dell’universo. Cognizione infine, rivelata nel verso conclusivo della sua Commedia: «L’Amor che move il sole e l’altre stelle».

Una contemplazione universale che è conseguimento coscienziale di appartenenza dell’umano al ritmo dell’universo, all’unico movimento circolare e trascendente che ha come sorgente dinamica l’Amore. Conseguimento già riportato da un altro studioso dell’esoterismo dantesco Gabriele Rossetti, il quale descrive la ‘rivoluzione’ della Divina Commedia in chiave allegorica.

Secondo Guénon, che riafferma la tesi del Rossetti, sembrerebbe che l’Alighieri come molti altri poeti del Dolce Stil Novo, avesse fatto parte della organizzazione iniziatica, i Fedeli d’Amore, una setta segreta con fini politici ed esoterici di derivazione dell’Ordine Templare. Per l’autore questa appartenenza ad un ordine esoterico è rilevabile anche nelle sue varie rappresentazioni iconografiche da un elemento emblematico; il cappuccio di colore rosso indossato dal Poeta (assimilabile ad un paramento) che richiama il berretto Frigio degli Iniziati. Gli studi storici su Dante hanno ipotizzato che fosse membro accettato dell’Ordine del Tempio e altra prova di ciò è che nel Museo di Maria Teresa a Vienna sono conservate due medaglie, una delle quali rappresenta l’immagine di Dante. Sul retro di entrambe sono incise le lettere F.S.K.I.P.F.T. che G. Rossetti e Eugéne Aroux (1793-1859), altro sostenitore dell’esoterismo dell’opera dantesca - avevano già interpretato nel modo seguente: «Frater Sacrae Kadosh, Imperialis Principatus, Frater Templarius». Per Guénon invece, le prime tre lettere significano: «Fidei Sanctae Kadosh», ovvero l’acronimo della ‘Associazione della Fede Santa’ che era un terz’ordine di filiazione templare, della quale Dante, sembrerebbe sia stato uno dei capi (Guénon 2001a: 13) Questa spiegazione giustifica nella medaglia – attribuita - l’appellativo di Frater Templarius, e il titolo di Kadosh, titolo quest’ultimo conservato ad oggi nell’alto Grado 30° della Massoneria. Ed è anche per questo motivo, seguendo il tracciato di Guénon, che Dante alla fine del suo viaggio prende come sua ultima guida San Bernardo da Chiaravalle, colui che peraltro aveva stabilito e scritto la regola dell’Ordine Templare. Attestando l’appartenenza di Dante all’Ordine del Tempio, Guénon può interpretare simbolicamente vari aspetti della Divina Commedia che ne dimostrano la sua matrice esoterica e le concordanze con il discorso massonico:

-i cieli che Dante attraversa nel suo viaggio sono propriamente delle ‘gerarchie spirituali’, vale a dire dei gradi d’iniziazione. E ancora, che le tre Cantiche della Divina Commedia rappresenterebbero un percorso iniziatico:

-l’Inferno rappresenterebbe il mondo profano, abitato da persone che non avrebbero ricevuto    l’iniziazione;

-il Purgatorio si riferirebbe al superamento delle prove iniziatiche;

-il Paradiso, sarebbe la residenza degli ‘Illuminati’.

La Divina Commedia presenta forti analogie con la Grande Opera Trasformatrice dell’Alchimia. Analogia questa, avvalorata dai tre passaggi alchemici: l’Inferno, che ricorda l’opera al nero – nigredo - l’albedo - nel Purgatorio a richiamo della seconda fase che è l’opera al bianco e la rubedo – l’opera al rosso - nel Paradiso, che completa l’Opera di purificazione. È durante questi passaggi che l’uomo Dante ha bisogno di solvere – sciogliere - di mondarsi dalle spinte pulsionali della sua umana natura bevendo le acque del fiume Eunoè - la memoria del bene. Simbologia e allegoria sono quindi le componenti fondamentali del Poema che traduce in termini Cristiani il significato iniziatico della ‘Grande Opera’ ermetica. La Commedia è strutturata in modo allegorico, i concetti sono espressi tramite immagini e corrispettive significanze, non a caso il 3, il numero sacro della Trinità, torna di continuo. I 14.223 versi endecasillabi che compongono il Poema sono raggruppati in terzine, le terzine sono raccolte in Canti e questi, in numero di 33 per volta, formano le tre Cantiche; Inferno, Purgatorio, e Paradiso. Tra le tante circostanze in cui ricorre la dimensione esoterica del numero 3, c’è anche quella connessa al significato metaforico e alla simbologia cromatica fortemente ricorrente nel contesto del racconto poetico. Esemplare, in tale dimensione , è la rivelazione simbolica dei tre vestiti di Beatrice; raffigurazioni di aspirazioni qualitative/spirituali - Intelletto, Speranza/Rinascita, Bellezza/Armonia (cosmica) – rese manifeste e pregnanti nella loro ricorrenza parallela ai colori corrispondenti; il bianco, il verde e il rosso. Beatrice che è la personificazione dell’Amore, in quanto mezzo di elevazione spirituale, è ella stessa simbolo - rappresenta il numero 9, il multiplo del 3.

L’allegoria indirizza quindi verso un piano comprensivo superiore, metacognitivo rispetto al contenuto immediatamente percettibile, dunque razionale. Spesso si poggia su schemi di livello filosofico o metafisico. Le tre fiere incontrate da Dante e Virgilio nel I Canto dell’Inferno sono rappresentazioni figurate dei tre vizi (descritti come animali) che turbano l’animo dell’uomo: La lonza, dal pelo macchiato e dal corpo flessuoso è simbolo dell’avarizia e della lussuria – Dante lo definisce il primo peccato, la sua caratteristica qualitativa è l’incontinenza, causata dal sopraffarsi del desiderio sulla ragione. Il leone è allegoria della superbia, peccato che capovolge ogni ordinamento morale. La superbia insieme all’invidia, sono ritenute dal Poeta il principio di ogni male; peccati naturali e preliminari a tutti gli altri e quindi già ‘incorporati’ nell’animo degli uomini dopo il Peccato Originale. Infine la lupa, simbolo della cupidigia e dell’insaziabile avidità umana verso gli onori e i beni materiali, peccato che non corrode solo l’anima nella individualità dell’essere, ma consuma l’uomo nella propria rappresentazione sociale e categoriale in quanto rappresentante delle istituzioni civili ed ecclesiastiche, l’estrinsecazione di questo peccato è evidente nella sete di potere

Dante è il viandante, colui che inizia il viaggio speculare alla ricerca di una dimensione più alta di sé. Ricerca la Luce percorrendo una strada irta di ostacoli, tentazioni e miserie morali, in cui continuamente rivede sempre il riflesso di se stesso.

Il Livello esoterico è presente in ogni lemma dei versi della Commedia. Nel Canto VII del Purgatorio, il poeta ammonisce il lettore richiamandolo ad una analisi interpretativa delle parole e dei simboli contenuti – velati - nel contesto descrittivo:

«Aguzza qui, lettor, bel gli occhi al vero,

che ‘l velo è ora ben tanto sottile,

certo che ‘l trapassar dentro è leggero». 

L’andare nell’Aldilà evidenzia il percorso di un viaggio iniziatico dove la progressiva purificazione del protagonista si compie attraverso gradi di conoscenza sempre più alti. Né è da considerarsi casuale la chiusura di ogni Cantica con un riferimento alle stelle, a simboleggiare ogni volta il raggiungimento di un altro importante stadio di elevazione. L’ultimo verso dell’Inferno è:  

«E quindi, uscimmo a riveder le stelle». 

Il finale del Purgatorio è un altro richiamo alle stelle: 

«Puro e disposto a salire a le stelle».  

Il viaggio iniziatico del Poeta cominciato in una selva oscura è simbolo e paragone della prima fase dell’opera iniziatica. La discesa agli Inferi, all’interno della terra, è da ritenersi come la prima prova del cammino di purificazione, la Vera Medicina, il - V.·.I.·.T.·.R.·.I.·.O.·.L.·. - V.·.M.·. dell’uomo Dante alla ricerca della Cura di sé e all’esame del disvelamento dei suoi dubbi, delle sue domande, dei suoi rimorsi. Il passaggio tra i tre regni è accompagnato anche dal simbolismo dei minerali e dei metalli che si incontrano. Nell’Inferno c’è odore di zolfo, i materiali menzionati tendono a essere di tipo vile e di colore scuro. Nel canto XVIII il muro del nono cerchio è: «tutto di pietra e di color ferrigno». Nel canto XXIII Dante incontra gli ipocriti puniti sotto pesanti cappe di piombo, metallo simbolo della materia pervenuta al nero (alla nigredo) alchemica.

La fase risanatrice che monda dalle brutture l’essere umano è simbolizzata nel Purgatorio e Dante, giunto al termine di questo secondo viaggio ammette di essere:  

«Rifatto sì, come piante novelle

Rinnovellate di novella fronda

Puro e disposto a salire alle stelle». 

Risalire ‘rifatti’ è la condizione necessaria per perseguire la meta da raggiungere, distruggendo la negatività di sé e perseverando nel cammino introspettivo. Occorre coraggio analitico per affrontare i mitici ‘mostri’ condensati nella profondità dell’inconscio, è necessario levigarsi per poi batterli e rielaborarli dentro ad una coscienza illuminata. Essi sono scorie che fanno parte del vissuto di ogni umano. Non possono essere scartati, anzi bisogna che zavorrino per poterli conoscere, ri-conoscere e infine dominarli - trasmutando - l’umana natura e liberando quel ‘Divino che è in noi’. I ‘mostri’ non sono tali di per se stessi, sono soltanto caratteristiche della natura primordiale, distorsioni del senso di sé e manifestazioni brute di sterilità evolutiva. Devono potersi decomporre, dissolversi. Occorre quindi rettificarli per utilizzarli nell’ascesa alla conoscenza. La trasmutazione del Piombo in Oro a opera del Fuoco non è altro che la trasmutazione alchemica delle emozioni inferiori in emozioni superiori, conseguente alla trasformazione degli atomi presenti nei corpi della macchina biologica.

In ogni cammino iniziatico, la ricerca del ‘Maestro’ – il Dux – che orienta e illumina il sentiero, è incessante e irrinunciabile per qualsiasi iniziando. Agli occhi di Dante, Virgilio è contemporaneamente poeta, maestro e mentore pertanto è il suo – autore - nel senso etimologico del termine auctus – accresco, così come nel derivato del lemma - autorevole – quindi, per traslazione, Virgilio è l’artefice, responsabile del suo accrescimento - sapienziale e spirituale.

Per desiderio di Beatrice – Donna che nel poema impersona lo Zohar – lo Splendore, ovvero: il raggiungimento dell’Ignoto tramite l’unione ‘sessuale’/sublimata con la Donna, che incarna la Presenza Femminile di Dio - Virgilio, si assume il compito di guidare Dante. Egli stesso da romano e da poeta, aveva fatto discendere Enea per consiglio divino nell’Ade affinché questi conoscesse il destino del mondo romano, ora è chiamato dalle potenze celesti ad una funzione direttrice non meno fondamentale per il viandante Dante; aiutarlo nel disvelamento del giusto ordinamento, che gli sarà rivelato durante il suo cammino. Per sua parte, Virgilio dovrà rendergli comprensibili il vero/morale ordinamento terreno, le cui leggi saranno specularmente eseguite nell’oltretomba, ma il suo valore di guida non arriverà fino alle soglie della salvezza – il Paradiso - non potendo egli godere della visione di Dio in quanto morto senza conoscerlo.

Non c’è da stupirsi del fatto che Dante, credente, abbia scelto come guida un pagano e abbia affiancato l’Eneide alla Bibbia tra i modelli principali della sua ispirazione. La concezione dantesca della storia è assai diversa da quella moderna: la storia è considerata dal sommo poeta come la realizzazione di un disegno divino per cui tutti i fatti storici, anche quelli in realtà precedenti, o estranei alla nascita di Gesù vengono inseriti, per sincretismo all’interno della concezione cristiana.

Dante supera il simbolo di paganesimo che Virgilio incarna, e fa di lui quello che ognuno desidererebbe avere con sé nella vita, il Maestro - illuminante. Virgilio, che nei suoi propri scritti, a sua volta, si era avvalorato a sostegno evocativo di simboli significanti un valore ulteriore, più ampio e astratto rispetto a quello che normalmente viene ad essere rappresentato e che, in tale maniera aveva offerto a Enea il ramo d’oro di Eleusi a simbolo di resurrezione e immortalità- figurazione traslata e simbolica, corrispondente in Massoneria all’acacia.

La Guida rappresenta la coscienza dell’uomo dialettico, la ridestata consapevolezza della necessità di raddrizzare le vie della consapevolezza, la direzione per l’iniziando a compiere il processo di morte e rinascita. Aiutato da Virgilio, Dante compie la sua Opera al nero. Nel percorso del suo abisso interiore lo attende la Luna nera, la bianca e la rossa, colori alchemici, perché anche le ‘energie luciferine’dovranno trasmutarsi con il compimento della Grande Opera. E affinché ciò avvenga occorre coraggio e determinazione: «convien che di fortezza t’armi», gli suggerisce Virgilio.

Anche Lucifero nella Divina Commedia è simbolo di energia egoica intrappolata dentro l’ammassarsi irrazionale della sua propria indole malversa. Collocato nella ghiaccia del lago Cocito, ovvero nel IX Cerchio dove sono puniti i traditori, è dominante. Spaventosamente iconizzato con le sue tre facce poste in una sola testa, facce divoranti in ognuna di coloro che Dante evoca come i supremi traditori dell’Umanità, nonché suicidi: Bruto, Cassio, Giuda. Le facce luciferine sono anch’esse di tre diversi colori: quella al centro è vermiglia e la bocca maciulla l’Iscariota, al quale il Poeta attribuisce il peggiore dei tradimenti, quello dell'Uomo-Dio; tradimento aggravato per giunta da motivi venali. Il rosso/vermiglio è la riproduzione del sangue versato da Cristo e di quello medesimo che Giuda versò di per sé, suicidandosi, e in tal senso non poteva che essere necessariamente rossa la faccia di Dite-Lucifero – condannante e condannato – i quanto egli stesso traditore del Dio che lo aveva creato e quindi produttore del caos, che per l'eternità lo divora, in un processo di eterna assimilazione a sé stesso. Per Dante è il simbolo dell'odio, della violenza sanguinaria e al contempo della vergogna. La faccia destra, di color giallo, spetta al supplizio di Cassio ed è espressione dell’invidia, radix omnium malorum, prototipo di tutte le bassezze, spinto dalla quale l’uomo ha sempre cercato di distruggere qualunque altro suo simile ritenuto più nobile e magnanimo di sé e infine la faccia sinistra, la nera che si prende Bruto manifestazione del colore della paura, del buio, della ottenebrazione della coscienza e dell’ignoranza.

Dante punisce il tradimento abietto. Si potrebbe, in tal senso, porre in essere un parallelismo con la legenda matrice della Massoneria…? Penso, per correlazione, ai tre atti violenti compiuti dai Compagni traditori verso il Maestro Hiram e che ne procurarono la morte. Tali azioni delittuose di fatto riproducono a loro volta: la menzogna, l'ignoranza, l'ambizione.

La rielaborazione simbolica ricopre una funzione metacognitiva, per il suo valore fortemente evocante suscita convergenze e possibili analogie per il tramite della ‘potenza delle immagini’ e contribuisce, all’accordo di molteplici elementi dai quali è possibile ricavare ricorrenze significative e caratteri di condivisione e intersoggettività. Questa può essere una strada analitica e individuale basata sulle concordanze, ma su questo punto lascio libero spazio alla riflessione soggettiva di chi legge. Per certo, rispetto alla lettura simbolica dell’opera dantesca, riproponendo la fonte letteraria per questo articolo; Guénon (2001a: 42), non posso non evidenziare quanto il simbolismo esoterico nel Dante della Divina Commedia: «è una tappa alla scoperta di quell’unica verità che è in tutte le scienze e in tutte le grandi opere, e che prepara alla comprensione della “Grande Opera». E aggiungere, che le similitudini evidenziate servono a dimostrare ancora una volta come la ‘dottrina’ contenuta in tutte le tradizioni sia di fatto unica e costituisca – l’espressione delle medesime verità – quelle verità, che sono al tempo stesso il presupposto e il fine di ogni ricerca esoterica sempre in essere e mai definitiva, medesimo fine che la Massoneria da sempre persegue.

«Non subire passivamente e passionalmente la tua vita, ma rendila oggetto

di un costante progetto di costruzione e ricostruzione,

rifiuta di adattarti, rassegnatamente o furbescamente ai condizionamenti

che cercano, con seduzioni e/o minacce, di imprigionarti da ogni parte.

Hai in te stesso e nel mondo in cui vivi riserve culturali ed etico-sociali

su cui puoi contare […].

Utilizzale in direzione di una ragione progettuale e costruttiva,

demonica, raffinata nella sensibilità e audace nell’immaginazione:

nel suo segno potrai non disperare e dare il tuo contributo, grande o piccolo che sia,

alla trasformazione dell’umanità, e perciò della società e di te stesso»

(Giovanni Maria Bertin, 1987)

                                                              Sr.·. E. L. Pulitanò 3.·.  33.°                                                              Gran Maestra Aggiunta                           

                             Grande Oratore Gran Loggia Italiana Scozzese Femminile





Il cammino iniziatico nella Divina Commedia di Dante Alighieri

«O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde

sotto ‘l velame de li versi strani’».

(Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto XI, 61-63)

 

«Il linguaggio segreto di un testo iniziatico

può essere capito solo, nella sua vera essenza,

da coloro che sono già stati iniziati ai misteri dell’ordine».

(René Guénon, L’esoterismo di Dante, Milano, Adelphi)

 

«Se l’uomo è immerso nel tempo e nella storia,

se modella e crea la sua persona

mentre modifica se stesso nel tempo e nel corso del tempo,

dovrebbe risultare evidente che non possiamo

più parlare di “natura umana” e di una ”essenza dell’uomo”.

L’uomo non è più un essere dotato di ragione, lo diventa.

Non è più sociale, lo diventa.

Non è più religioso, lo diventa.

E che dire della natura umana. Possiamo ancora parlarne

(Erich Fromm, 1968)

«Una vera rivalutazione può realizzarsi eliminando la repressione,

che incanala l’intera vita libidinale verso il lavoro o la riproduzione».

(Françoise Collin, 1992, A proposito di Wilhelm Reich ed Herbert Marcuse)