Il simbolismo del labirinto tra mito e leggenda

L'esistenza stessa può considerarsi suggestivamente un labirinto
in cui è facile entrare ma è difficile muoversi nella direzione giusta,
tanto le scelte possono essere imponderabili.
La presenza del labirinto è nel mito e nella storia.
Da quello di Minosse
ai graffiti rupestri, dai pavimenti musivi fino ai giardini del Seicento,
oggi rappresenta una strategia architettonica.
È anche un percorso d'angoscia denso d'incognite,
nonché la rappresentazione del caos contrapposto al naturale ordine delle cose.
Il labirinto è lo specchio di qualcosa che sottolinea
la vulnerabilità del singolo di fronte alla forza dell'ignoto.
Il labirinto – scrive il filosofo Gabriele La Porta: “può essere tradotto anche come – enigma- un - nodo da sciogliere- un - problema. L’uomo che riesce a risolvere l'enigma scopre che - il mondo è apparenza - e che l'unica realtà è la sostanzialità di Dio”.
Nel nostro Tempio è labirintica la configurazione del pavimento a scacchiera bianca-nera, ma perdersi in esso non è possibile a condizione che - si conoscano l’ordine e la misura dei passi.
Il neofita per uscire dal – Caos interno a se stesso e incominciare il suo personale cammino sapienziale dovrà imparare a misurarsi con umiltà, ad interrogarsi in modo continuativo e affidarsi ai Maestri, per decidere gradualmente la direzione da dare al proprio personale percorso. Egli, deve imparare a discernere tra la privata e grezza interiorità e gli intenti di mutazione spirituale allo scopo di abbattere i “mostri” identificabili tra le sue caratteristiche debolezze e imperfezioni. Dovrà tenere stretto a sé il filo della propria coscienza allo scopo di continuare l’incessante opera di perfezionamento che è la condizione ineliminabile di ogni buon massone.
Il Chaos, è rappresentativo del piano orizzontale di tutto ciò che è terragno, rozzo, denso e poroso. È l’hic et nunc- il - qui e ora- dell’esistente della mente profana, della corporeità fisica e sensoriale pregnante di rozza grossolanità materiale, quella chiamata da Cartesio res exstensa; la realtà fisica che è estesa, limitata e inconsapevole. È questo quindi - l’errare dell’uomo che non trova la meta. Simbolo di tale condizione è il dedalo.
Il dedalo è lo spazio chiuso in cui peregrina senza sosta l'uomo che si lascia guidare da un senziente orientato solo dalle percezioni sensoriali. Tale stato mostra innumerevoli possibilità immanenti e indica scelte apparenti e spesso contraddittorie. È il simbolo della vita esteriorizzata dove regnano solo scontri, egoismi confusione, dipendenze e l’irrazionale e istantanea fame di soddisfazione dei bisogni primari. Il profano guidato e ingannato dalla propria rozza ignoranza, sviluppa una cosciente emotivo volto solo a ciò che è tangibile e facilmente spiegabile, ciò che è definibile come - dedalo dell’anima – dedalo, gremito di tortuosità e angoli oscuri, i quali portano facilmente a vicoli ciechi, senza via d’uscita. La ragione del profano è asservita al caos e ingannata dai suoi stessi sensi, manda informazioni false allo Spirito,il quale reso così inibito è vanificato nella possibilità di sviluppo evolutivo e trasformativo, “gira a vuoto” intorno alle proprie confusioni e resta intrappolato nei meandri della materialità.
L’iniziato veste invece l’abito del viandante. Ha intravisto la luce e la persegue anche se ancora lontana. Il suo scopo è quello di avvicinarsi sempre più alla fonte di luminosità. È un cercatore che deve trasferire la sua ricerca - dal dedalo al labirinto– tra fiochi raggi di luce intravisti, avvicinandosi pian piano alla luminosità deve far sì che possa pervenire come per – irradiazione – all’espansione di altre facoltà, all’assimilazione della propria res cogitans - l’innalzamento spirituale– facoltà che gli permetterà l’evoluzione del pensiero, del volere e dell’agire con consapevolezza. In tale concezione si ritrova allora la pregnanza del significato di - labirinto - sdoppiato nei due termini –labor eintus – i quali rimandano inequivocabilmente al processo incessante del - lavoro interiore. La sgrezzatura del proprio essere “pietra” deve spostarsi ad un piano elevato – verticale - un piano psichico e meta-cognitivo capace di accedere agli strati più “fini” dell’intelletto. Se il dedaloè stato rappresentativo della vita esteriore, il labirinto simboleggia la vita interiore, ciò che è discernimento, meditazione, ponderazione e per citare Immanuel Kant, ciò che è: “conoscenza riflessiva e competenza critica”. Concezioni queste, immutate e sublimate dalla - săpĭentĭa iniziatica– che per rendersi fruibili a tutte le menti vengono illustrate attraverso i miti e le simbologie.
Contrariamente al dedalo il cammino nel labirinto termina al centro.
Lo stesso cervello umano è labirintico, composto da un gran numero di circonvoluzioni, ma capace di codificare e de-codificare modalità progettuali, di pianificazione e strategie di problem-solving, per poter utilizzare al meglio le sue immense possibilità superiori, ma pertanto, occorre prima trovare l'uscita dal dedalo delle percezioni sensoriali.

Il Labirinto - della vita interiore - riconosciuto dalla Tradizione massonica, segna per l'Apprendista il passaggio dal proprio pavimento di comprensione personale e separativa, al Pavimento del Tempio dove, grazie ai sistemi simbolici ed alla meditazione i sentieri dell’evoluzione spirituale divengono regolari e conoscibili - Vie di Scienza Iniziatica. L’ingresso nel labirinto presuppone l'abbandono, da parte del cercatore, del mondo esteriore.

Nel mito di Teseo e Arianna, Teseo penetra nel labirinto per vincere il Minotauro per - uccidere la “bestia” che è in sé, la parteistintiva e irrazionale della mente umana, quella che Dante Alighieri nel Canto XII dell’Inferno definisce: “matta bestialità” - l’inferiorità istintuale. Affinché le - facoltà “superiori” – elevate e iniziatiche possano farsi strada, il mezzo che consente la messa in atto di tale illuminata impresa è il filo di Arianna, rappresentazione della direzione verso la saggezza. Tale relazione mediata dal filo - metaforicamente cordone ombelicale - veicolo di fluidi nutritivi che nutrono e rafforzano, è necessaria affinché l’iniziando/viandante non vaghi tra i meandri dell’oscurità labirintica senza riuscire a scoprirne l'uscita. Il legame con - l'Anima – Arianna - è per lui, un sostegno indispensabile. Arianna è la forza di Teseo, il suo cordone ombelicale. È la sua - matrice di relazione lineare - l’essere un - eroe salvifico - dipende dal rapporto che questi ha con il femminile, dal quale attinge - nella sua psiche - le qualità “fini” di equilibrio, discernimento, acutezza e illuminazione.
Arianna - si pone come “Sovrana del Labirinto” - matrice del livello di transfert, organizzatrice della trasformazione, presiede ai percorsi di evoluzione interiore. Essa è la potenza illuminante del fondo oscuro dell’esistere. È colei che conosce i misteriosi percorsi della vita, presiede alle fasi di trasmutazione della coscienza, rivelate con l’acquisizione meditativa che è infine l’acquisita separazione dalle proprie manifestazioni egoiche. Arianna è Maestra e guida del pensiero intuitivo.
Al compimento dell’Opera iniziatica, la pantomima messa in scena da Teseo per ringraziare gli Dei viene ad essere denominata la - danza del labirinto – (o anche danza della gru) le sue le articolate figurazioni a “giravolta” richiamavano attraverso le movenze del corpo dell’eroe la tortuosità del luogo e i complessi spostamenti, ondeggiamenti e oscillazioni serviti a Teseo per venir fuori dal Labirinto di Minosse.
Il labirinto è per il massone l’archetipo della via iniziatica, evidenzia nella sua stessa forma figurale, l'itinerario mentale complesso, ininterrotto e permanente che accompagna da sempre ogni uomo, artefice del proprio destino evolutivo, il quale nella storia ha intrapreso il cammino verso la conoscenza.
Nel labirinto non ci si perde.
Nel labirinto ci si trova.
Nel labirinto non si incontra il Minotauro.
Nel labirinto si incontra se stessi
H. Kern
Sr. E. L. P. 3 .'. 33°